Covid-19: webcam obbligatoria nella didattica a distanza?

Sono una docente delle scuole medie. Al nostro consiglio di classe è successo un avvenimento increscioso: un genitore ci vuole denunciare per aver chiesto alla figlia minorenne, frequentante la terza media, di accendere la webcam per le interrogazioni, vista la necessità di una valutazione oggettiva e seria da parte del corpo docenti. Abbiamo bisogno di guardare in volto i nostri studenti per accertarci che la valutazione sia veritiera e valida. Ci è capitato più volte che un genitore suggerisse la risposta, approfittando della webcam spenta o che lo studente ricercasse la risposta altrove.

Nessun illecito è stato commesso dagli insegnanti e, pertanto, l’eventuale denuncia dovrà ritenersi del tutto infondata, sia in sede penale (assolutamente nessun tipo di reato è ravvisabile) che in un’eventuale sede civile (ad esempio, atto di citazione volto a ottenere il risarcimento dei danni).

La didattica a distanza è stata imposta dal Governo per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19; i numerosi provvedimenti che si sono succeduti nel tempo (a partire dal DPCM del 4 marzo 2020, a tenore del quale «i dirigenti scolastici attivano, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità») non hanno fatto altro che confermare l’assoluta necessità di ricorrere a tale forma di istruzione per evitare che l’intero anno scolastico andasse perso.

Il problema si sposta ovviamente sulla concreta attuazione di tale didattica a distanza. Il punto di riferimento normativo è la nota del 17.03.2020 del Ministero dell’Istruzione, con cui sono state date indicazioni di massima utili sia ai docenti che agli alunni.

Ebbene, nella nota è dato leggere che la didattica a distanza non può limitarsi all’invio di materiale scolastico destinato all’apprendimento “passivo” dell’alunno: da privilegiarsi è sempre l’insegnamento frontale, seppur da remoto e nei limiti di ciò che le tecnologie consentono di fare.

Peraltro, il Ministero ha cura di precisare che la didattica a distanza debba avvenire nella piena collaborazione tra le parti, cioè tra insegnanti e scolari.

Ebbene, se è vero che un docente non potrebbe costringere lo studente ad acquistare la strumentazione idonea al funzionamento della didattica a distanza, è anche vero che, se l’alunno ha già a disposizione tali mezzi, allora non può rifiutarsi di adoperarli, soprattutto se tale diniego appare ingiustificato.

Ciò significa che, se lo studente ha a disposizione una connessione internet e una webcam, dovrà adoperare tali strumenti affinché i docenti possano adempiere ai propri doveri. Il rifiuto di fare ciò può essere giustificato solamente da particolari e comprovate situazioni.

Purtroppo, trattandosi di normativa recentissima, non abbiamo a disposizione alcun precedente giurisprudenziale; tuttavia, è possibile immaginare che ragioni di privacy possano essere opposte solamente ove particolarmente fondate: ad esempio, lo studente potrebbe rifiutarsi di attivare il collegamento video qualora egli versasse in condizioni di salute che metterebbero a repentaglio la sua sfera più intima e personale (a solo titolo esemplificativo, si pensi allo studente che, durante l’orario della videolezione, è costretto a sottoporsi a un delicato trattamento sanitario e, dunque, non vuole che le proprie condizioni e lo stato in cui versa durante il trattamento vengano resi noti).

In un caso del genere, l’insegnante deve trovare un modo per ovviare al problema, magari fissando un orario diverso per il collegamento, oppure dando il tempo alla famiglia di adeguarsi con modalità che consentano un maggior rispetto della riservatezza.

Peraltro, proprio in tema di privacy, la nota ministeriale succitata ha cura di precisare che le istituzioni scolastiche non devono richiedere il consenso per effettuare il trattamento dei dati personali (già rilasciato al momento dell’iscrizione) connessi allo svolgimento del loro compito istituzionale, quale è la didattica, sia pure in modalità “virtuale” e non nell’ambiente fisico della classe.

Restano fermi e impregiudicati gli obblighi, derivanti dal Regolamento UE 2016/679 (famoso Gdpr), di garantire che i dati personali: siano trattati in modo lecito, corretto e trasparente; siano raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime; siano trattati in modo non incompatibile con tali finalità, evitando qualsiasi forma di profilazione, nonché di diffusione e comunicazione dei dati personali raccolti a tal fine; che essi siano adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per cui sono trattati, e trattati in maniera da garantire un’adeguata sicurezza dei dati personali, compresa la protezione, mediante misure tecniche e organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali.

Al di fuori di casi eccezionali, dunque, deve ritenersi illegittimo il rifiuto di attivare la webcam: si tratta infatti di un comportamento ostruttivo che potrebbe vanificare la didattica a distanza così come voluta dal Ministero. Pertanto, la condotta dello studente dovrà essere tenuta in considerazione nel quadro complessivo della valutazione scolastica, alla stessa stregua dell’alunno che rifiuta di farsi interrogare.

In definitiva, dunque, il corpo docente non ha nulla da temere. È consigliabile comunque informare i genitori delle conseguenze in cui incorrono gli alunni che non collaborano nello svolgimento della didattica a distanza, eventualmente coinvolgendo anche il dirigente scolastico.

In conclusione, si riportano le parole della nota del Ministero a proposito della valutazione a seguito di didattica a distanza: «Si tratta di affermare il dovere alla valutazione da parte del docente, come competenza propria del profilo professionale, e il diritto alla valutazione dello studente, come elemento indispensabile di verifica dell’attività svolta, di restituzione, di chiarimento, di individuazione delle eventuali lacune, all’interno dei criteri stabiliti da ogni autonomia scolastica, ma assicurando la necessaria flessibilità».

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avvocato Mariano Acquaviva

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